All’inizio, Luca Bonomo era uno di quelli che guardava al CrossFit® con un certo scetticismo, quasi con disprezzo. Abituato alle sfide del bodybuilding e alla sua routine in palestra, non avrebbe mai immaginato che un giorno quel mondo fatto di WOD e community sarebbe diventato la sua passione più grande.
Ma la vita, con le sue imprevedibili curve, l’ha portato a fare i conti con una realtà diversa: dopo un incidente in moto che ha cambiato per sempre la sua vita, Luca ha dovuto reinventarsi.
Quello che sembrava impossibile è diventato il suo punto di forza. Ha trovato nel CrossFit® un modo per riappropriarsi della sua forza e per costruire un percorso nuovo.
Oggi, è parte di una grande famiglia, quella del CrossFit®, e ha l’onore di rappresentare l’Italia sui palcoscenici internazionali più importanti, come gli Adaptive Games.
La sua storia è un viaggio di resilienza, tenacia e passione: quella stessa passione che l’ha portato a lottare con tutte le sue forze per dimostrare che, a volte, le difficoltà possono diventare il nostro più grande trampolino di lancio.
Intervista esclusiva a Luca Bonomo – atleta adaptive
Ciao Luca! Grazie per essere qui con noi! Allora, sappiamo che hai avuto un incidente nel 2021. Come è stato il tuo percorso nel CrossFit® e come hai affrontato le sfide fisiche e mentali che ne sono derivate?
Ho iniziato con il nuoto da piccolo, poi a 12 anni ho giocato a calcio e fatto go-kart a livello nazionale. Successivamente, mi sono interessato alla palestra perché volevo dimagrire e mettere massa muscolare, finché nel 2021 ho avuto un incidente in moto. A settembre 2021 sono rimasto coinvolto nell’incidente, e ho passato cinque mesi in ospedale dove hanno cercato di salvare la gamba, ma alla fine, a gennaio, è stata necessaria l’amputazione: ho perso il piede e parte della tibia. Quando sono uscito dall’ospedale, dopo quei cinque mesi, avevo perso 30 kg; prima dell’incidente mi allenavo regolarmente in palestra e avevo persino partecipato a una gara di bodybuilding.
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All’epoca, ero uno di quelli che criticava il CrossFit® senza sapere cosa fosse realmente. Dopo l’incidente, non mi sono soffermato troppo sul fatto di aver perso un piede, ma mi sono preoccupato di recuperare i muscoli persi. Questa mentalità mi ha aiutato psicologicamente, dandomi degli obiettivi per tornare in forma come prima.
Inizialmente, a casa riuscivo a fare poco o niente, perché neanche con le stampelle riuscivo a stare in piedi. Ero davvero debilitato. Poi, un giorno, il proprietario di un box di Cross Training vicino casa mi ha invitato ad allenarmi lì, dicendomi che avrei potuto andare quando volevo, senza problemi. Ho iniziato ad andare al box, ma per i primi 5-6 mesi mi allenavo a modo mio, senza fare CrossFit®, perché non mi piaceva e, a essere sincero, non capivo neanche cosa facessero.
Piano piano, però, ho iniziato a vedere i miei amici allenarsi, soprattutto agli anelli, e mi sono detto: “Fammi provare”. Ero sempre stato bravo con la ginnastica, e così mi sono appassionato agli anelli! In un mese ho imparato a fare i ring muscle-up e anche la camminata in verticale (handstand walk). Da lì, tutto è venuto di conseguenza: ho iniziato a frequentare le classi e a fare progressi.
Nel frattempo, però, ho dovuto subire un’altra amputazione a causa di un’infezione. Per un anno mi sono allenato senza protesi, partecipando alle classi come tutti gli altri, anche se zompettavo da una parte all’altra e adattavo i workout alle mie condizioni.
L’anno successivo ho messo la protesi, e nel frattempo mi ero qualificato per una competizione a Barcellona, che è stata un’esperienza fantastica. Ora sono due anni che mi alleno: un anno senza protesi e un anno con.
Come hai affrontato gli Open & Semifinals e come hai vissuto il momento in cui hai ricevuto l’invito ai Games 2024?
Per quanto riguarda gli Open, penso sia stato il momento più difficile da quando ho iniziato CrossFit®. Avevo messo una nuova protesi circa un mese prima degli Open e mi ero allenato duramente, partecipando sempre alle classi e vincendo anche piccole gare al box. Ero molto soddisfatto dei miei progressi.
Poi, con la nuova protesi, ero entusiasta perché era bellissima, molto meglio della precedente. Tuttavia, dopo il primo allenamento, il giorno successivo mi sono svegliato con la gamba gonfia: avevo un versamento grande circa 10 cm sia in larghezza che in altezza. Ho dovuto passare 15 giorni a letto, 20 giorni senza allenarmi e un mese intero senza la protesi.
Ho potuto rimettere la protesi solo il giorno prima della scadenza del workout 24.1 degli Open. È stato uno dei momenti più brutti della mia vita perché mi ero allenato così duramente e avevo deciso di affrontare gli Open con la protesi, convinto che avrei potuto fare bene. L’anno scorso, pur senza protesi, non era andata male, quindi pensavo che con la protesi avrei potuto ottenere risultati ancora migliori. Invece, mi sono ritrovato con la gamba ancora gonfia, tanto che la protesi non mi entrava correttamente.
La sera prima della chiusura degli Open ho riprovato la protesi, e, anche se era un po’ stretta, riusciva a entrare. Ho iniziato a camminare dentro casa per fare delle prove e mi sono detto: “Domani lo devo fare, anche se martedì starò di nuovo male, devo provarci”.
Il lunedì sono andato al lavoro con la protesi e le stampelle, cercando di camminare un po’. La sera ho deciso che avrei affrontato il wod. È stato il mio primo allenamento con la protesi dopo più di un mese. Ho completato i 10 minuti del workout e, anche se non sapevo se il tempo fosse buono, per me è stato un traguardo personale importantissimo, dato che mi ero allenato pochissimo dovuto alle condizioni.
Il giorno dopo mi sono svegliato senza alcun segno di versamento, e tutto era tornato come prima. Ero felicissimo di aver completato il 24.1, anche se è stato un percorso molto sofferto. Questo episodio rimarrà per sempre nella mia memoria.
Poi per se Semifinals, sono usciti workout piuttosto complicati. Ad esempio, non avevo ancora imparato i double unders (DU) perché avevo la protesi da poco tempo. Ho dovuto impararli proprio durante le qualifiche per gli Open, incredibile, ma vero!
In uno dei workout, c’erano i box jump a 75 cm. Ho chiesto se potevo farli steppati e, fortunatamente, me l’hanno concessa. Non sono altissimo, ma nemmeno basso, quindi l’altezza del box era adatta a fare gli step-up per me.
Partendo da una 6ª posizione, ho iniziato a risalire la classifica e, alla fine, mi sono qualificato come 4°. Sono molto soddisfatto, perché i workout erano impegnativi e ci hanno testato su tutte le abilità, permettendoci di mostrare le nostre capacità.
Come ti sei preparato fisicamente e mentalmente per affrontare i CrossFit® Games 2024?
Dopo aver ottenuto buoni risultati, ho deciso di farmi seguire da un coach. Conoscevo già Giuseppe [Ciullo], che si stava allenando con la programmazione Demantur, e ho colto l’occasione. Ho pensato: “Giuseppe e io ci vediamo spesso e passiamo molto tempo insieme, quindi sarebbe anche un modo per condividere questa esperienza.”
Inoltre, Demantur è stata l’unica programmazione a sviluppare un programma specifico per gli atleti adaptive, con un referente dedicato che ci segue da vicino.
Ho deciso di provare con Demantur, dicendomi che, se non mi fosse piaciuto, avrei sempre potuto cambiare. Alla fine, sono rimasto molto soddisfatto! Abbiamo un coach, Jonathan Mercurio, che è davvero eccezionale. Con lui ci troviamo benissimo e non potevamo chiedere di meglio.
Psicologicamente è stato difficile, perché venivo dalle classi di CrossFit® e mi ero allenato per un anno e mezzo seguendo quel metodo. Con Demantur, invece, il volume di lavoro è molto più alto: in un giorno faccio quanto prima facevo in quattro giorni di classi!
All’inizio è stato pesante, e lo è stato ancora di più verso la fine, quando ero molto carico e mi sentivo al limite.
Dal punto di vista mentale, però, sono riuscito a gestirlo bene, perché allenarmi mi piace e riesco a conciliare il lavoro, la preparazione e i pasti. Mi organizzo preparando i pasti la sera per il giorno successivo, così quando esco dal lavoro alle 19 posso allenarmi e poi cenare alle 23
Quindi diciamo che ho accusato di più fisicamente. E poi c’è sempre quella preoccupazione: “Hai prenotato il viaggio? E se ti fai male?” Alla fine, ho rischiato di farmi male alla spalla perché il dolore si era riacutizzato, ma per fortuna tutto si è risolto.
Quando sono partito per i Games, mi sentivo in ottima forma e senza alcun problema fisico!
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Quali sono state le tue sensazioni nel gareggiare su un palcoscenico internazionale come quello degli adaptive games in Texas?
L’emozione di qualificarmi per i Games è stata incredibile. Quando ho ottenuto la qualifica, a dire il vero, non ci credevo fino all’ultimo. Mi dicevo: “Finché non arrivo lì, non ci credo davvero!” Avevo anche qualche timore: mi chiedevo se, una volta lì, avrei potuto rimanere deluso dalla gara, perché può succedere, soprattutto considerando che noi non siamo atleti élite. Lo sappiamo tutti.
Quando sono emerse le prime polemiche riguardo al fatto che non ci avrebbero dato lo stesso vestiario degli altri atleti o che avremmo ricevuto meno articoli, ho sentito tante lamentele. Però, alla fine, sono rimasto soddisfatto. Riflettendo, ho capito la mole di lavoro che c’è dietro per gestire il nostro gruppo rispetto agli atleti individuali.
Gli individuals sono di meno ed è più facile gestirli. Noi, invece, siamo molti di più. Ad esempio, uno sponsor come GORUCK ha messo a disposizione un paio di scarpe per ognuno di noi: essendo 300 persone, sono stati 300 paia di scarpe. In confronto, per gli individuals, che sono solo 40, mettere a disposizione tre paia di scarpe ciascuno significa un totale di 120 paia. Quindi, è comprensibile.
Anche dal punto di vista mediatico, purtroppo, non abbiamo lo stesso impatto degli individual. Non so bene perché, ma un clean di 100 kg fatto da un adaptive non riceverà mai la stessa attenzione di un clean di 160 kg fatto da un individual. È un po’ triste, lo ammetto, ma è la realtà.
Siamo meno seguiti, e finché sarà così, ci sarà meno interesse da parte degli sponsor e, di conseguenza, le gare per noi avranno un livello diverso. Oggi, Instagram e i social network fanno tantissimo, e finché avremo meno visibilità, sarà difficile attirare maggiori investimenti e risorse per le competizioni.
Personalmente, posso dire di essere molto soddisfatto dell’organizzazione della gara, specialmente per quanto riguarda i media e l’abbigliamento che ci è stato fornito. Inoltre, l’ultimo giorno c’erano sconti sul materiale delle semifinali, quindi abbiamo potuto acquistare alcuni articoli a un prezzo molto basso.
C’è qualcosa che secondo te non andava?
A dire il vero sì, sono rimasto meno soddisfatto dei workout. Capisco che, essendo 300 atleti e avendo solo un campo gara, hanno dovuto organizzare workout molto brevi per permettere di fare due sessioni al giorno per tutti.
Non voglio criticare o suggerire che avrebbero dovuto organizzare due campi gara o fare le cose diversamente, ma, considerando che siamo andati fino in Texas, alcuni workout sono stati davvero troppo brevi. A volte abbiamo gareggiato per un minuto e poi abbiamo aspettato 4-5 ore per il secondo workout della giornata.
Alcuni sono durati solo 3-4 minuti, e altri persino 1 minuto. La mia unica lamentela riguarda proprio la durata dei workout: a parte il primo, che è durato in media 20-25 minuti, tutti gli altri non superavano i 6 minuti, e alcuni erano addirittura di 1 minuto!
Mi dispiace un po’, e l’unica cosa su cui vorrei far sentire la mia voce è questa. Se dovessi qualificarmi di nuovo l’anno prossimo (speriamo!), non vorrei ritrovarmi nella stessa situazione. Su workout di 3 minuti, anche un piccolo errore mi penalizza molto in classifica.
Se ci fossero workout più lunghi, più complessi e strutturati, sarebbe possibile valutare meglio un atleta. Non si valuterebbe solo l’errore momentaneo, ma anche l’allenamento che ha svolto, la forza che possiede, e tanti altri aspetti.
Questo è lo spirito del CrossFit®: workout di 1, 2 o 3 minuti, a meno che non siano specifici come un Fran, sono davvero rari.
Quali sono state le maggiori sfide che hai incontrato durante la competizione e come le hai superate?
La parte più difficile è stata affrontare i workout che, secondo me, penalizzano di più, perché le categorie purtroppo non sono standard. Ci sono, ad esempio, la “below knee” e la “above knee” (con o senza ginocchio). Io appartengo alla categoria con il ginocchio, ma, nonostante questo, non ho la piena flessione del ginocchio: ho circa 60 gradi in meno di flessione.
Questo significa che non posso fare uno squat completo o piegare le gambe come si dovrebbe. Quando faccio un clean o uno snatch da terra, devo partire praticamente con la schiena molto inclinata verso il basso, dato che non posso piegare le gambe.
Da questo punto di vista, sono penalizzato. Fino all’anno scorso, molti esercizi erano da “hang” (posizione di partenza con il bilanciere già sollevato), ma quest’anno ci hanno inserito il massimale di clean da terra. Non è che non l’abbia allenato, mi piace farlo anche da terra, ma il problema è che, a causa della mia limitazione, devo partire in una posizione molto scomoda, con la schiena piegata e senza poter spingere con le gambe come dovrei. Questo mi rende difficile mantenere il bilanciere vicino al corpo, e devo fare uno sforzo notevole per avvicinarlo. Di conseguenza, mi penalizza molto.
Per quanto riguarda il primo workout, ho avuto la stessa difficoltà: sono stato penalizzato perché, mentre tutti si allenano con due gambe, io devo farlo con una sola. Quando uso il vogatore o la bike, lavoro con una sola gamba, mentre l’altra, che non si piega, la tengo da parte e uso solo la destra.
Nonostante ciò, sono riuscito a ottenere una quinta posizione in un workout che prevedeva 2.000 metri di row, 2.000 metri di ski e 80 calorie sulla bike, quindi ne sono stato abbastanza soddisfatto.
Il secondo workout, invece, è andato peggio: c’erano gli shuttle run, un esercizio che non avevo mai visto nella mia categoria. Purtroppo, c’erano sette atleti con la protesi da corsa, e tutti e sette mi sono arrivati davanti! La differenza la fa non solo il fatto che il mio ginocchio non si piega, impedendomi di correre bene, ma anche la protesi da corsa, che offre una grande elasticità nel movimento.
Io, invece, ho un piede normale e, quando mi alleno, uso un piede provvisorio, quindi ho dovuto adattarmi come potevo. Ho chiuso ottavo e mi sono dovuto accontentare.
Poi, c’è stato il workout del clean, di cui ho già parlato prima, ed è stato davvero difficile. Mi sono ritrovato ottavo in classifica nei primi due giorni. Non ti dico che puntavo al podio, ma speravo almeno arrivare alla quarta posizione, e invece mi sono ritrovato quasi ultimo.
Psicologicamente, è stato complicato affrontare quei primi giorni.
C’è un evento o un momento particolare dei Games che ti ha lasciato un ricordo indelebile?
Un ricordo indelebile, come in tutte le gare e gli eventi a cui ho partecipato finora, è il gruppo che si crea. Ogni volta, si forma un bellissimo spirito di squadra. Ho partecipato a circa quattro o cinque gare finora, e, tranne Giuseppe che c’è quasi sempre, ogni volta sono andato con persone diverse. Eppure, ogni volta si crea una situazione speciale e un’atmosfera incredibile, che sembra diventare sempre più bella.
Ecco, hai parlato dell’importanza del legame che si crea tra le persone e di come per te questo sia l’aspetto più bello del CrossFit®, al di là dei risultati. Ci racconti come si sono svolte le vostre giornate come gruppo di italiani?
Per me, più della gara, della posizione in classifica o di quello che si fa in competizione, ciò che conta davvero è il legame che riesco a creare con le persone. Questa, secondo me, è la parte più bella del CrossFit®. Mi dispiace che non tutti la vedano così; alcuni vedono la competizione come un momento in cui si deve essere concentrati solo sulla performance, senza interagire con gli altri, perché “bisogna competere”. È comprensibile, e chiaramente gli atleti più forti devono puntare alla vittoria, ma penso che così si perda forse la parte più bella del CrossFit®.
In nessun altro sport ho mai visto un affiatamento simile. Forse noi atleti adaptive ragioniamo in modo diverso rispetto ad altri, non lo so, ma posso dire che in ogni gara e competizione a cui ho partecipato, mi sono sempre impegnato a creare un gruppo con persone che avevano voglia, come me, di fare squadra. È stato fantastico.
Ad esempio, durante l’ultima competizione, nella nostra stanza, che era la più grande, ci siamo ritrovati tutti noi italiani, e ogni sera ci organizzavamo insieme: cucinavamo, mangiavamo insieme, facevamo la spesa condivisa. Un giorno la facevo io, il giorno dopo qualcun altro. All’inizio pensavo che qualcuno preferisse fare le cose per conto proprio, ma invece ci siamo trovati tutti benissimo e abbiamo vissuto l’esperienza in modo collettivo.
Uscivamo insieme anche la sera per andare a mangiare fuori e non ci siamo mai separati. È stato davvero un momento bellissimo, e questo è sicuramente uno dei ricordi più preziosi che porterò con me.