In Georgia ad aprile il clima è vagamente piovoso.
Sul mare, a Batumi, in realtà piovoso lo è quasi tutto l’anno. E’ colpa dell’essere stretti tra il Mar Nero e le montagne.
La Turchia è a poche decine di chilometri di distanza, in direzione sud.
Esci dal palazzetto dove si sono appena svolti gli Europei di sollevamento pesi – gara Seniores, circuito Gold – volti l’angolo, e c’è l’Unione Sovietica. C’è il passato forte che satura ancora il paesaggio urbano, e c’è la voglia di guardare al futuro. Ci sono casette con il tetto di lamiera addossate a palazzi contemporanei.
Ci sono le immagini dei libri di storia che prendono vita lungo le strade, e ci sono le medaglie di Nino Pizzolato.
Indice
Nino Pizzolato, istinto siciliano e sangue caldo
Classe 1996, categoria 81 kg.
Oro agli Europei di Batumi per la specialità – lo slancio – e oro per il totale Under 23.
Nello slancio, Nino sbaglia le prime due alzate probabilmente per la voglia incredibile di salire in pedana.
Poi subentra il desiderio del podio, guardi il video dello slancio da 201 kg, e fai fatica a commentare.
Un’alzata epocale, grazie alla quale Nino si porta a casa non solo le medaglie, ma anche punti importanti con i quali avvicinarsi al biglietto per Tokyo 2020.
Fuori dal palazzetto il passato e il presente si mischiano proprio come a Castelvetrano, il “paesello” dove Nino è cresciuto e dove dal padre ha ereditato il concetto di una fatica bella da fare.
Fatica, etica e caduta degli dei
Siamo nei tempi della riscoperta delle pesistica. Molti si avvicinano alle alzate classiche grazie al Crossfit, ma anche perché sempre più professionisti della disciplina approdano ai social mostrando fisici statuari – e non estremi come quelli del bodybuilding attuale – e grandi prestazioni in alzate eleganti, belle da vedere.
Un mito ce l’hai?
Ce l’avevo, ma adesso non ce l’ho più. E’ un russo [non si nominano gli dei decaduti]. Tra l’altro, ha una tecnica molto simile alla mia, mi ci sono sempre riconosciuto. Poi ho scoperto che faceva uso di doping, e mi è passato. L’ho messo da parte. Non mi interessa più.
Contrario al doping non solo per una questione di etica, da ottimo sportivo e da buon siciliano – per il quale una sfida va sì sempre accolta, ma onestamente – ma anche perché il doping
lo paghi. E’ come quando prepari una macchina da corsa – Nino usa il mondo dei motori e della meccanica per parlare di sé e del suo sport – sai che il motore deve tirare troppo, e lo devi cambiare regolarmente altrimenti la macchina poi non regge.
Strettamente collegato: il mio non è uno sport che tutti possono praticare, perché richiede mobilità e qualità muscolari che non sono a portata di tutti.
Lui invece è fortunato, perché è entrato in una palestra giovanissimo. Illuminato dalla pesistica, da allora la sua strada è questa.
Mi racconta che la pesistica è “uno sport per tutti gli sport”. Chi la pratica, anche a livello amatoriale, non può non avere benefici. Per la potenza,che ti serve poi nel tuo sport: ma anche per la prevenzione degli infortuni, e per costruire un corpo più performante, e armonico.
Ma lui si autodefinisce Caterpillar – non certo un’immagine aggraziata. Eppure guardi i 201 kg fatti volare senza un tentennamento, e la bellezza del gesto atletico ti si rivela.
Come in quella mano portata al cuore appena il bilanciere si ferma sulla pedana.
Le componenti dello sportivo
Osservo che spesso, e soprattutto se guardiamo da spettatori, dei sollevatori di pesi vediamo due componenti distinte, che alle volte si compenetrano come in uno yin-yang sportivo. C’è l’animalità di quelli che sulla pedana letteralmente strappano il bilanciere da terra, e c’è l’estrema concentrazione, lo zen dell’essere chiusi in sé stessi.
Mirco [Scarantino, compagno di Europei] è così: cerca l’attimo di concentrazione perfetto.
Nino squarcia questi due poli con un terzo componente, l’emotività. Parla di scintille quando la presa si avvolge attorno al bilanciere. Gambe che tremano quando si sale in pedana. Nino lo chiama istinto.
Non è maniacale, non è molto tecnico. Non penso. Prendo il bilanciere e alzo.
Sfogo, liberazione, realizzazione cercata – e trovata – nel setup sulla pedana, nell’attimo dell’alzata, nel bilanciere lasciato cadere.
L’istinto ti accompagna anche nella vita quotidiana, o lo releghi allo sport?
Nino è un siciliano, e degli isolani ha il sangue caldo. La sua altra passione è il rally, che pratica quando può, in Sicilia, nel tempo che gli allenamenti gli lasciano libero.
L’istinto ce l’ho sempre. In macchina è anche peggio.
Ride.
Quando lo chiamo per fissare l’intervista è nel mezzo dell’allenamento pomeridiano. Il giorno dopo finalmente abbiamo del tempo per parlare al telefono. Ha appena finito quello della mattina.
Dal padre ha ereditato la fatica, ma non il sacrificio. Questo ve lo dirà da tutte le interviste che leggerete online.
Sacrificio – gli faccio notare che è spesso sulla bocca degli sportivi e di chi racconta lo sport – per me è negativo, è rinunciare, è cosa che fai controvoglia.
Ancora i motori:
Se amo la mia macchina, se voglio proprio quella, e per qualche problema della vita sono costretto a venderla: ecco, questo per me è un sacrificio. Invece mio padre faceva un lavoro duro, finiva tardi e stava in paese perché voleva fare contenti tutti, ma non era un problema. Andava fatto, e lo faceva con il sorriso. Me lo ha insegnato lui.
Il sollevamento pesi, un linguaggio comune
Per chi fa sport di forza, l’Est Europa è una terra mitica di uomini dalla forza estrema. C’è il metodo bulgaro, c’è una dieta altamente proteica basata sulle zuppe di carne, c’è Dimitry Koklov, sogno proibito di chiunque abbia una connessione intenet e si cimenti con snatch e clean&jerk.
Chiedo a Nino se nel backstage degli Europei questa differenza si notava.
No. Cioè, c’è qualcosa che percepisci se sei nel giro da un po’. Io che sollevo d’istinto, ecco, questo lo vede subito chi pratica lo sport, o gli allenatori. Ma finisce lì. L’importante non è il metodo, non è come ci arrivi: l’importante è l’alzata.
Il sollevamento pesi è una lingua universale?
Noi atleti dobbiamo fare quello. Non dobbiamo pensarci troppo, ma dedicarci ai movimenti.
Gli chiedo delle tendenza attuale a concettualizzare tutto, a perdersi in ragionamenti e, alla fine, non fare.
Il troppo pensare va evitato. Poi può capitare anche a me – siamo umani – che prima di salire in pedana mi faccia troppi pensieri. Ma è normale così, altrimenti saremmo solo macchine, no?
Nino è “nel giro” dal 2010. Non è molto, ma non è nemmeno poco. Qualcuno giù in paese, per strada,mi saluta, “Ciao campione”. Io gli rispondo che sarò campione quando avrò finito la mia carriera. Gli dico che per adesso sono solo un atleta che fa bene il suo lavoro.