Ogni disciplina ha i suoi fantasmi.
Sei powerlifter? Il tuo fantasma ha la forma delle vertebre L4 e L5. Strongman? Hai idea di cosa voglia dire mollarsi una Atlas stone sul piede? Bodybuilder? Apri il frigo, e non ci sono più petto di pollo e broccoli.
Dura, ragazzi, dura.
E per i crossfitter?
C’è la rabdomiolisi.
Indice
Cattivo gusto e tradizione
Cioè da quando l’associazione CrossFit®-rabdomiolisi è diventata – come dire? – pubblica. Tanto che anche l’ottimo Greg Glassmann (pace all’anima sua) ha detto la sua, ancora nel 2005: prima ammettendo su journal.crossfit.com i 5 casi della malattia tra atleti CrossFit® (tutti ospitalizzati), poi presentando il personaggio Uncle Rhabdo, un muscoloso quanto spompato clown attaccato alla macchina per l’emodialisi.
Spirito cameratesco, o sottovalutazione del rischio?
La scienza della rabdomiolisi
Immagina i tuoi preziosi muscoli: quelli che ci hai messo i proverbiali “sangue, sudore e lacrime” per fare crescere.
[parte un video in bianco e nero, accompagnato dalla musica sognante di quando ripensi a una storia d’amore: tu che fai curl con manubri, tu che fletti di fronte allo specchio grande dello spogliatoio, tu che baci il tuo bicipite destro]
Ecco. Immagina ora che i tuoi muscoli siano talmente stanchi da disfarsi, e che le cellule riversino il loro contenuto nel flusso sanguigno (che orrore).
Questa è la rabdomiolisi da sforzo (c’è anche quella da trauma, ma ora non ci interessa).
La colpa è la prolungata attività fisica intensa e il conseguente danno muscolare. Il catabolismo eccessivo a carico delle cellule muscolari fa sì che mioglobina, creatinina, potassio, calcio e acido urico vengano rilasciati nel sangue, provocandone l’acidosi. La mioglobina poi è tossica, e dà origine a insufficienza renale.
Le conseguenze sono nefaste (e dolorose), comprendendo oltre all’esaurimento fisico, la possibilità della formazione di microcoaguli di sangue in giro.
Insomma: la rabdomiolisi è causata dalla fine delle risorse metaboliche, cioè dallo stress metabolico estremo, che porta all’apoptosi delle cellule – la loro morte. Il corpo non ha più le risorse per compensare la fatica, e va in tilt.
I sintomi:
- Urine di colore rosso-brunastro
- Spossatezza e affaticamento
- Vomito
- Infiammazione muscolare e articolare
- Gonfiore di mani o piedi
- Debolezza e vertigini
- Palpitazioni
Un bel casino, insomma. Gli esami (CPK-creatina fosfochinasi, mioglobina, potassio e creatinina) aiutano a diagnosticarla.
Per uscirne? Dipende dalla gravità, si va dalla reidratazione tramite endovenosa, all’emodialisi.
Rabdomiolisi: rischio reale o leggenda?
Diciamolo subito: la rabdomiolisi è una malattia rara, che sembra colpire esclusivamente gli atleti d’élite (quelli che si allenano 8-10 volte la settimana).
Fondamentalmente, gli accorgimenti per evitare di correre il rischio sono molto semplici:
- allenarsi all’interno delle nostra possibilità, praticando WOD che dovrebbero essere tarati sul nostro fisico
- idratarsi correttamente, magari assumendo sali minerali prima, durante e dopo il WOD
- fare attenzione alle condizioni estreme (come il caldo estivo più spinto)
- recupero, recupero, recupero: dopo le sessioni di allenamento, ma anche dopo gli infortuni
- ascoltare i segnali del corpo: se ci troviamo nel box per più giorni di seguito con la motivazione che latita, l’energia sotto i tacchi e un generale senso di spossatezza, proviamo a scalare i WOD, o a diversificare l’allenamento facendo attività più leggere
In genere, più di quanto riusciamo anche solo a immaginare.
(per quanto, a dover di cronaca, alcune statistiche dicono che rispetto al post di Glassmann del 2005, i casi di rabdomiolisi siano aumentati di almeno 20 volte. Più fatica in circolo, e semplicemente più awareness, e quindi più ricordo a una diagnosi medica?)
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