A noi di CrossMag piace parlare di fitness a 360°, adoriamo il senso di community e il concetto di inclusione che questa disciplina ci regala ogni giorno. Proprio per questo motivo, andiamo sempre alla ricerca di nuovi stimoli e iniziative interessanti.
E’ così che ci siamo imbattuti in una realtà che ci ha davvero affascinato e sorpreso!
Una bellissima iniziativa messa in atto da due meravigliose persone: Andrea De Beni e Luca Casciello (Coach Red), del box CrossFit® La Mole di Torino.
Parliamo della Adaptive Academy, la prima iniziativa italiana per lo sviluppo di una cultura dell’allenamento sportivo adattato e inclusivo!
Inaugurato ad ottobre 2020 e giunto alla terza edizione, il loro corso prevede due giorni di formazione per coach, studenti e atleti, nell’ambito dell’adattamento delle attività sportive.
Pensate che nei primi 3 anni di attività, Adaptive Academy ha accolto 70 persone con disabilità motoria, cognitiva e sensoriale, proponendo oltre 1.800 ore di allenamento adattato attraverso 4 diverse discipline: fitness, arrampicata, difesa personale e weightlifting.
Tutto ciò per creare una base di conoscenze comuni che permetta agli allenatori di condividere la pratica dell’allenamento con chiunque abbia disabilità motorie, sensoriali e cognitive! Vi facciamo raccontare tutti i dettagli dai nostri due eroi fondatori, in questa bellissima chiacchierata!
Ciao Andrea, Ciao Coach Red. E’ un piacere immenso poter parlare con voi. Ci piacerebbe conoscere il volto dell’Adaptive Academy e scoprire la vostra storia personale!
Red: Ciao a tutti! Il piacere è nostro! Comincio io: mi chiamo Luca Casciello, sono laureato in Scienze Motorie e, nel corso degli anni di studio, ho iniziato a conoscere un mondo fuori dalla sala pesi, approcciandomi prima alla pesistica e poi incontrando per caso il CrossFit® , ormai 15 anni fa, quando ancora nessuno sapeva bene cosa fosse.
Tra lo studio, il confronto con i primi coach italiani e vedendo le realtà all’estero, sono arrivato ad aprire il mio box, il CrossFit® La Mole, che gestisco tutt’ora.
Andrea: Invece io mi chiamo Andrea, sono un marito e papà di 3 figlie, vivo a Torino e nella vita mi occupo di comunicazione per un Gruppo bancario.
Mi sono avvicinato al CrossFit® sei anni fa con Red a CrossFit® La Mole, a 37 anni, dopo 24 anni passati giocando a pallacanestro, associando anche una forte passione per il quad, che mi ha portato a gareggiare in manifestazioni endurance, cross e enduro in giro per l’Europa.
Sono nato con una malformazione congenita al femore destro quindi cammino, corro, salto e mi alleno, indossando una protesi.
L’approccio naturalmente inclusivo che ho avuto nello sport, in cui non ho mai vissuto la logica esclusiva delle categorie per persone con limitazioni motorie, mi ha portato ad estendere questo concetto anche nel CrossFit® : le persone devono avere la possibilità di vivere l’esperienza sportiva insieme.
Solo questa, per me, è inclusione vera e propria.
In effetti il vostro incontro ha dato alla luce un progetto a dir poco eccezionale: l’Adaptive Academy. Com’è nata l’idea?
Red: Per caso! È andata un po’ così: un giorno, un mio atleta ha portato Andrea al box (sorvolo su tutta la parte dove ho iniziato ad allenarlo ecc.). L’idea vera e propria di creare questo progetto è nata quando ci siamo seduti a tavolino con Carlo Mazzola, della omonima Fondazione Mazzola.
Faccio un appunto: questa fondazione ha come scopo quello di dare la possibilità di far sport a chiunque abbia una disabilità!
Alla domanda: ‘’Cosa vi serve? Cosa dovete comprare per il box?’’ ci siamo resi conto che la risposta era ‘’niente’’! L’unica cosa che realmente serviva era la formazione degli allenatori.
A questo punto, abbiamo iniziato a formarci, ma non eravamo soddisfatti, non ci bastava! Pertanto, abbiamo deciso di riunire diversi professionisti per creare un corso che avremmo voluto fare, se fossimo stati corsisti.
Andrea: Infatti, proprio così! L’idea nasce da una spinta motivazionale data da Fondazione Mazzola con Carlo, suo fondatore, il quale ha spinto me e Red a pensare ad un progetto da finanziare filantropicamente, con l’obiettivo di non acquistare cose, ma creare valore.
È in quel momento che, con Red sulla parte tecnica e me, sulla parte di comunicazione e concept, abbiamo avviato Adaptive Academy: un ecosistema di servizi che hanno come obiettivo quello di amplificare la cultura dell’inclusione in ambito sportivo, con un focus sul movimento e sul fitness.
Infatti la nostra prossima domanda è proprio questa: capire quali sono i vostri obiettivi!
Red – In realtà, il corso di formazione è solo uno dei progetti! Vorremmo creare una community di professionisti (non solo coach) che interagisce, si confronta e si spalleggia, tramite video, consulenze e workshop. Anche per chi non ha una disabilità, abbiamo creato un workshop dove possiamo simularla, così riusciremo ad arrivare alle persone!
Possiamo parlare ai coach, agli atleti adaptive e ai non adaptive.
Andrea: Lavorare sulle persone con disabilità non è il nostro focus primario. Crediamo che per aiutare il numero massimo di persone si debba agire sull’ecosistema generale: gli allenatori, in primis, ma anche gli studenti di Scienze Motorie e, perché no, anche i cittadini.
L’obiettivo è quello di essere un punto di riferimento per l’adattamento in Italia e creare una cultura e una consapevolezza diversa sulle limitazioni.
Facciamo chiarezza per i coach e owner che ci leggono: tutti i box possono accettare un atleta con disabilità?
Red: Dal punto di vista di un coach direi di sì, ma se ci chiedete se tutte le disabilità possono essere gestite in classe… Beh, no!
Per alcune servono percorsi più lunghi o paralleli, non può essere un sì assoluto su tutto!
Dal punto di vista dell’owner direi che l’unica discriminante sono le barriere architettoniche ed è anche per questo che l’Adaptive Academy ha un suo architetto all’interno dello staff, in modo che possa aiutare le società che ne hanno bisogno.
Andrea: Il vero e grande ostacolo sta nella non consapevolezza di potercela fare. Molti coach e molti owner di box e palestre danno talmente tanto per scontata l’impossibilità di poter accogliere, che alla fine ci credono a tal punto da non essere veramente in grado di farlo.
Chi ha vissuto sulla propria pelle il corso MAAFA scopre che gli ostacoli non sono così insormontabili e che è più semplice di quanto si pensi.
Immaginiamo che oltre ai limiti fisici ci siano anche dei blocchi psicologici. Come vi approcciate in questo senso?
Red: Generalmente mi aspetto che un coach sia già una persona empatica. Chiunque arrivi al box potrebbe esser spaventato dell’attività fisica, o vergognarsi di farsi vedere perché in sovrappeso o non particolarmente atletico.
Nel caso di una atleta adaptive, si può aggiungere il fatto di farsi vedere con o senza una protesi e pensare di rallentare una lezione.
Il mio consiglio è sempre quello di parlare chiaramente! Non vedo il problema nel chiedere ad un atleta se si vergogna a farsi vedere senza protesi, in questo modo ci si muoverà di conseguenza.
Non vedo nemmeno il problema di chiedere ad un atleta di aiutarne un altro a prendere un attrezzo. Chi dei due è quello adaptive? Quello che aiuta o quello che viene aiutato?
Andrea: C’è un tema estetico molto forte, ma che, fortunatamente, nelle nuove generazioni, va via via sgretolandosi. L’imbarazzo comunque c’è ancora, a volte parliamo pure di vergogna.
È per questo che è importante lavorare culturalmente su coach, owner e atleti: è il contesto inclusivo, che quasi non si cura della diversità, che diventa accogliente per definizione e abbatte quelle barriere psicologiche dettate dalla paura e dal timore del giudizio.
Quali sono le difficoltà durante un workout dal punto di vista dell’atleta? E quali sono le problematiche dal punto di vista dell’allenatore?
Red: Da allenatore la mia prima preoccupazione è e sarà sempre la sicurezza.
Se il mio atleta ha gli spazi adeguati, se gli strumenti e gli attrezzi sono collocati in maniera opportuna, mi ritrovo a pensare al “mio atleta” e non ad un “atleta adaptive”.
Se vogliamo parlare di agonismo, allora ci chiederemo come rendere più agevoli i passaggi tra un esercizio e l’altro; il WOD lo facciamo con o senza protesi? Si mette e si toglie? C’è lo spazio per la carrozzina? Abbiamo dei riferimenti tattili?
Andrea: Da atleta non vedo difficoltà particolari rispetto ad un atleta non adaptive. Per me fare i double under su una gamba sola, ad esempio, è la normalità e non ho la possibilità di confrontare la difficoltà rispetto al fatto di farli con due gambe.
Pertanto, per me il fatto che una cosa appaia difficile o più difficile rispetto alla sua versione standard, non è un elemento di allontanamento da quella particolare skill: per me o si fa così o non si fa!
Oltre a queste difficoltà, immaginiamo ci siano dei tabù che vi trovate ad affrontare?
Red: Siamo una società che non è ancora abituata alla disabilità. Ci facciamo problemi a dire delle cose o magari a far battute, come se una persona non vedente non sapesse di esserlo.
Un altro esempio è quello di tendere a non toccare gli ausili, come se fossero bolle di sapone che rischiano di rompersi in qualsiasi momento.
Bè mi preoccupa più la rottura di una gamba vera rispetto ad una finta…
Andrea: In realtà il mondo va oggi un pochino alla rovescia e dal “poverino” siamo passati al supereroe, con il risultato che si sono spesso creati miti dove questi non ci sono per nulla o, peggio, si crea una narrazione che, anziché avvicinare alla pratica sportiva, spaventa e allontana.
Dobbiamo lavorare sulla concretezza, sulla facilità, sulla semplicità, sulla fattibilità delle cose, togliendoci dalla testa il concetto che “un atleta con una disabilità ha già vinto la sua sfida” perché non si fa altro che mitizzarlo e martirizzarlo.
Andrea, sei un crossfitter agonista. Ci racconti i tuoi traguardi? Coach Red, invece, come lo prepari per le competizioni?
Andrea: Ai miei traguardi personali antepongo quelli di una comunità che deve crescere e che può dare tanto a tutto il movimento del fitness.
Aver partecipato per primo ad alcune competizioni prestigiose vale come traguardo solo se dopo si iscrivono in 10, altrimenti sarà un’esperienza fine a sé stessa e buona solo per me.
Dal punto di vista agonistico mi accorgo che, nonostante i 43 anni di età, sto ancora migliorando costantemente: questo mi porta a trovare grande soddisfazione nella pratica quotidiana e a godere di ogni ora trascorsa al box.
Vorrei, paradossalmente, che il traguardo non esistesse, costruendo nuovi obiettivi ogni giorno.
Red: Invece io posso rispondervi che lo preparo esattamente come tutti gli altri.
Tutti i coach lavorano per far acquisire gli schemi motori che permettano di sviluppare le varie skill e, di conseguenza, avere atleti sempre più performanti.
Una volta acquisito il movimento, le strategie per aumentare la forza, la stamina ecc. sono le stesse.
Questo vuol dire che, innanzitutto, bisogna partire da cosa l’atleta sa fare e scoprire quali sono le sue debolezze, indipendentemente dalla disabilità, così da creare una programmazione.
Se si lavora sulla capacità di eseguire 10 hang power clean unbroken, ci potrà essere un’indicazione in più sull’equilibrio in caso di un lower (disabilità arto inferiore) o sulla scelta dello strumento in caso di upper (disabilità arto superiore).
Coach Red, che consigli puoi dare ad un coach che vuole allenare un atleta adaptive?
Il mio consiglio è di non farsi problemi: parla con l’atleta, confrontati con i colleghi, prova nuove proposte anche se possono rivelarsi non adatte: magari non sono tutti consigli utili o non è il momento giusto.
Con Andrea mi è successo anche di dirgli: ‘’fallo così… aspetta, non funziona! Cambiamo!’’.
L’importante è togliere l’atleta da sotto la campana di vetro, perché questo è un limite che il coach mette all’atleta.
Andrea, tu che consigli puoi dare ad un atleta disabile che vuole approcciarsi al CF?
Nulla di diverso da quanto potrei dire a chiunque altro. Ovvero che ogni elemento che si vede al box parte da una base estremamente più semplice, pertanto si può veramente stare assieme e crescere giorno dopo giorno partendo da zero.
All’inizio la sfida è conoscere il proprio corpo e vederlo fare cose impossibili prima di allora, poi inizia la padronanza delle skill e poi la performance diventa misurabile; ciò rende questa disciplina virtualmente infinita. Insomma, le stesse cose che potrei dire a chiunque.
Per finire, ci raccontate quali sono i vostri progetti futuri?
Creare una community significa costruire qualcosa che si auto-alimenta. Vorremmo che i progetti futuri di Adaptive Academy siano paradossalmente iniziative promosse da altri, sulla base di nuovi bisogni, nuove tematiche, nuovi atleti, nuovi modi di allenare.
Adaptive Academy non può e non deve avere una sola faccia, ma deve poter essere una community che propone, crea, disfa, riprova, cade, si rialza e si reinventa ogni giorno sulla base di esigenze e stimoli sempre nuovi.
Se volete conoscere di più su questa bellissima realtà, vi consigliamo vivamente di seguirli sulla pagina Adaptive Academy su Instagram!