Oggi abbiamo l’onore di chiacchierare con una donna straordinaria, un esempio di determinazione, coraggio e resilienza. Veronica Bandera non è solo un’atleta adaptive upper 2 point contact del box CrossFit® Sempione, ma una vera combattente, capace di sfidare ogni limite.
La sua prima partecipazione ai CrossFit® Games 2024 non è stata solo una gara, ma un viaggio fatto di sacrifici, emozioni travolgenti e momenti indimenticabili.
In questa intervista esclusiva, Veronica ci porta dentro il suo mondo, raccontandoci come sia riuscita a trasformare ostacoli apparentemente insormontabili in traguardi conquistati con grinta e passione.
Preparatevi a lasciarvi ispirare da una storia che tocca il cuore e accende la voglia di non arrendersi mai.
Vero, l’ultima volta che ti abbiamo intervistato avevi appena superato gli Open e ti stavi preparando per le Semifinali. Ci racconti come sono andati? E che emozioni hai provato quando hai letto l’email e ti sei resa conto che avresti partecipato ai Games 2024?
“Sì, le emozioni sono state tantissime quando è arrivata l’email delle Semifinals, perché davvero non pensavo di essere riuscita a qualificarmi. I workout erano andati bene, ma c’erano molte skill che non avevo ancora padroneggiato completamente.
In particolare, i muscle-up erano davvero proibitivi per me: non ero mai riuscita a farne nemmeno uno, se non con l’aiuto degli elastici. Mi sono ritrovata a dover affrontare un workout che includeva 7 muscle-up per tre serie!
All’inizio, naturalmente, ho provato un po’ di sconforto, come penso sia successo a molte di noi nella categoria Upper. Parlandone poi con le altre finaliste, ho scoperto che solo una di noi li aveva consolidati, mentre tutte le altre no!
La scena è stata davvero epica: avevo 15 minuti per completare il workout, e pensavo che li avrei passati cercando inutilmente di riuscirci. E invece sono riuscita a fare due muscle-up, con tutto il box che faceva il tifo per me! È stata un’emozione indescrivibile.
Infatti, mi sono anche commossa una volta in cima alla sbarra. Ti manderò il video, è stata davvero la più grande soddisfazione delle Semifinals.”
Prepararsi per i Games richiede uno sforzo fisico e mentale enorme. Come ti sei organizzata tra il lavoro e gli allenamenti, soprattutto con la tua patologia? Ci sono stati momenti particolarmente difficili?
“Sì, lo sforzo è stato notevole, soprattutto nel conciliare gli allenamenti lunghi e diversificati che questa disciplina richiede con il mio lavoro, che è rimasto a tempo pieno fino all’ultimo giorno. Ho lavorato ininterrottamente fino a quando non ho preso l’aereo per Sant’Antonio!
Come sapete, sono un medico e lavoro in pronto soccorso, quindi faccio turni di notte, weekend, e spesso lavoro 12 ore di fila. Non è stato facile ritagliarmi almeno due ore di allenamento ogni giorno, e tre volte a settimana facevo anche doppia seduta, con un allenamento aggiuntivo nel pomeriggio. È stata una sfida enorme!
Abbiamo cercato di distribuire il carico di lavoro per evitare di sovraccaricare la mano, organizzando sessioni specifiche: cardio separato dalla ginnastica e dal sollevamento pesi olimpico, per il quale mi allenavo fuori dal box, seguendo un percorso specifico con istruttori specializzati della FIPE.
Non nego che sia stata dura! Alla fine ero molto stanca, perché coordinare tutto—dall’alimentazione al riposo necessario tra un allenamento e l’altro, insieme ai turni di lavoro e al riposo mentale—è stato davvero impegnativo. Nel mio lavoro, la lucidità è fondamentale per evitare errori che potrebbero avere ripercussioni su altre persone.
Nonostante tutto, è stata un’esperienza bellissima e gratificante. Vedere i risultati, superare i propri limiti nonostante la fatica, è una delle cose più incredibili che il CrossFit® ti dà. Più dai, più ricevi in cambio qualcosa di ancora più grande. È uno sport davvero meritocratico!”
Gareggiare su un palcoscenico internazionale come quello dei CrossFit® Adaptive Games è un’esperienza unica. Puoi descrivere l’atmosfera e cosa hai provato durante la gara?
“Guarda, non ci sono parole per descrivere quello che si prova quando si è su un palcoscenico di questo livello. Ti trovi circondato da atleti provenienti da tutto il mondo, che socializzano, si danno forza e si supportano a vicenda in un contesto davvero straordinario. È qualcosa di molto diverso rispetto a come viviamo lo sport qui da noi.
Negli Stati Uniti, pur avendo notato nel corso degli anni anche aspetti meno positivi, devo dire che il modo in cui vivono lo sport è una delle cose più belle che possiamo imparare da loro. Lo sport, per gli americani, è fondamentale: gli atleti sono considerati degli eroi, al pari di soldati, militari o attori.
Hanno un profondo rispetto per chi si impegna al massimo nello sport che ama e cerca di raggiungere livelli elevati. Giudici, stampa, media, fotografi—tutti fanno il tifo per te, anche se non ti conoscono, anche se non ti hanno mai visto prima. Ti battono il cinque mentre cammini per strada, ti sostengono in ogni modo possibile. È qualcosa di meraviglioso!
Senti questa energia vibrare dentro di te mentre parte il countdown. Tutti intorno a te ti sostengono, e quella forza ti spinge a dare il massimo, magari per completare una skill o per chiudere un workout più velocemente degli altri. La senti chiara e potente!
Questa è stata, senza dubbio, la più grande emozione che i Games mi hanno regalato.”
Qual è stata la sfida più grande che hai affrontato ai Games? E come sei riuscita a superarla?
“Per me, la sfida più grande è stata competere con atlete fortissime, ma soprattutto molto più giovani di me! Ero la più anziana, con i miei 42 anni. La più giovane dopo di me ne aveva 34, che è già una bella differenza rispetto alle ventenni di 22 o 23 anni, che rappresentavano la maggioranza delle atlete in gara.
Questo non ha influito tanto sulla performance in sé, ma sui tempi di recupero. Gli organizzatori avevano scelto workout a volte molto brevi ma estremamente esplosivi, per i quali servivano anche 40 minuti o un’ora di riscaldamento per essere davvero performanti in gara. Dare tutto in quei 6 minuti, in cui devi tirare fuori ogni risorsa dal tuo corpo, influisce tantissimo anche sul livello di stanchezza. Con tre workout al giorno, con pesi importanti e movimenti esplosivi, ho davvero sentito il peso sul recupero.
Infatti, uno dei momenti più difficili—che però ha avuto anche un risvolto positivo—è stato durante il workout della finale, che richiedeva 3 muscle-up alla fine. Ci avevo lavorato molto dopo le Semifinals, e in allenamento al box riuscivo a farli, ma la stanchezza accumulata nei quattro giorni di gara era tale che, nonostante ci abbia provato fino all’ultimo secondo, non sono riuscita a completarli.
Non mi sono arresa, ma non ci sono riuscita. Analizzando a mente lucida l’andamento dei giorni di gara con i miei allenatori, abbiamo concluso che la stanchezza era il fattore determinante. Il volume di lavoro accumulato aveva avuto un impatto notevole su di me, cosa che invece le mie compagne di gara più giovani hanno sentito molto meno, grazie a un recupero più rapido.”
C’è un momento speciale che porterai sempre con te? Qualcosa che ha segnato particolarmente la tua esperienza.
Sì, assolutamente, e mi ricollego proprio a quello che ti ho appena detto! Ho gareggiato contro atlete fortissime, che seguivo da anni sui social, e già incontrarle è stata una vittoria per me! Dicevo sempre ai miei compagni di box che non vedevo l’ora del primo “3, 2, 1” per guardare a destra e sinistra e vedere, accanto a me, atlete che avevo visto solo su riviste e social media.
Per me, queste atlete rappresentavano tantissimo e sono state una fonte di grande ispirazione in questi anni. Una in particolare è Anne-Laure Coutenceau, una famosissima atleta adaptive in Francia, incredibilmente forte e tecnicamente impeccabile. Lei era l’atleta che più di tutte sognavo di incontrare, e mai avrei immaginato di poter competere contro di lei. Pensate che l’ho incontrata subito il primo giorno in hotel, perché senza saperlo alloggiavamo nello stesso albergo!
La prima volta l’ho vista nella sala colazioni, e al secondo giorno non ho resistito: mi sono presentata, prima ancora che iniziasse il briefing. Ovviamente lei non sapeva in quale categoria partecipassi, visto che eravamo tantissimi atleti nello stesso hotel. Nei giorni successivi, abbiamo iniziato a salutarci di più, e prima della finale le ho confessato che essere ai Games con lei significava per me aver già vinto tutto. Credo che in quel momento sia rimasta molto sorpresa, perché non ti aspetti una dichiarazione del genere da un’avversaria!
Durante la finale, lei ha ovviamente vinto il workout, perché è stratosferica. Dopo aver concluso la sua prova, ha lasciato tutta l’attrezzatura e si è messa sotto la mia postazione a fare il tifo per me fino alla fine. Anche quando non sono riuscita a completare i muscle-up, ha continuato a incoraggiarmi fino all’ultimo secondo. Quando sono scesa dalla sbarra, mi ha abbracciato fortissimo e mi ha detto: “Sono fiera di te!” Ancora adesso, mentre te lo racconto, mi vengono i brividi!
Abbiamo fatto delle foto insieme, ci siamo scambiate i contatti, e adesso ci sentiamo spesso. Lei mi scrive, io commento i suoi allenamenti e le metto i cuoricini. Mi sostiene e mi sta vicina. Il mio più grande desiderio sarebbe quello di poter gareggiare un giorno in team con lei ma l’obiettivo è sicuramente di incontrarci di nuovo l’anno prossimo!”
Dopo questa straordinaria esperienza, come vedi il tuo futuro nel CrossFit®? Cosa hai imparato dai Games che influenzerà i tuoi obiettivi, sia come atleta che come professionista?
“Il mio futuro nel CrossFit®? È una bella domanda! Data la mia età, so di non avere ancora molti anni per gareggiare a livello competitivo. Per questo, insieme ai miei coach, abbiamo deciso di continuare con questi ritmi per un altro anno. Se tutto andrà bene e non ci saranno problemi o infortuni, potrei proseguire anche l’anno successivo, quando avrò 45 anni.
Sorrido perché, nelle altre categorie, l’età ha un valore relativo: una volta raggiunta una certa età, puoi passare alla categoria successiva e continuare a competere con atleti della tua stessa fascia d’età.
Purtroppo, per noi atleti adaptive non è ancora possibile essere divisi per fasce di età, perché non siamo abbastanza numerosi. Infatti, la campionessa del mondo dell’anno scorso, che è mia coetanea, si è ritirata dopo aver passato le Semifinals!
Guardando l’età delle sue avversarie, tutte ampiamente sotto i 25 anni, ha probabilmente fatto due conti e deciso di fermarsi. Lei aveva già vinto tutto, aveva già partecipato ai Games anni prima di me, quindi ha probabilmente ritenuto di aver completato il suo percorso.
Per me, invece, questa è stata la prima apparizione e il fuoco dentro di me è ancora tanto, come lo era allora. Sicuramente ci metterò tutta la mia energia e proverò a qualificarmi di nuovo. L’obiettivo per quest’anno è confermarmi tra le prime dieci al mondo.
Spero di riuscirci, nonostante il caos della mia vita e del mio lavoro, che purtroppo non posso né ridurre né interrompere. Continuerò ad allenarmi con questo spirito, perché l’esperienza che ho vissuto è stata così bella, intensa e travolgente che la paura di non farcela è molto meno forte rispetto alla voglia di rivivere quelle sensazioni. Per questo ce la metterò tutta!”
Dietro le quinte dei Games si vivono spesso momenti inaspettati. Hai qualche aneddoto o esperienza divertente da condividere, qualcosa che ha reso quei giorni ancora più speciali?
“Quello che ha reso questo percorso e i Games davvero speciali, anzi, specialissimi, è stato il gruppo italiano. Abbiamo iniziato a sentirci già prima di partire, una volta qualificati, e dalla chat di WhatsApp si capiva subito che ci saremmo divertiti un sacco. Però, non avrei mai immaginato che avremmo riso così tanto e passato così tanto tempo insieme, anche fuori dal campo gara.
Ognuno di noi ha condiviso la propria esperienza personale, parlando di infortuni o delle problematiche di salute che ci hanno portato a qualificarci in questa categoria. E poi c’era il tempo passato a cucinare come dei matti: pasta, pollo, riso, verdure… chi più ne ha, più ne metta! Tutti insieme, infilati nella stessa stanza, senza abbastanza sedie o piatti, tanto che al mattino rubavamo i piatti dalla colazione per avere abbastanza per mangiare tutti insieme. Ci si trovava nei corridoi con le sedie, uscivamo dagli ascensori per infilarci nella stanza di chi aveva il tavolo più grande, per poter stare tutti assieme a ridere, fino alle lacrime, e a condividere le nostre storie.
È stata l’esperienza più bella di tutte. Abbiamo attirato l’attenzione di tutti, perché ci muovevamo in gruppo, anche dentro l’arena dei Games, per tifarci a vicenda. Volevamo che le nostre voci superassero quelle degli altri. Quando uno di noi gareggiava, tutti gli altri erano a bordo pista a fare il tifo, a sostenersi a vicenda. Abbiamo riso tantissimo, e qualche volta abbiamo anche pianto insieme. È stata davvero l’esperienza più divertente di tutte.
A un certo punto non trovavamo più le nostre cose: facevamo le lavatrici tutti insieme e ci perdevamo calze e magliette! C’era chi aveva le cose degli altri e non se ne accorgeva. È stata davvero un’esperienza fantastica da questo punto di vista. Il nostro albergo era soprannominato “Casa Italia” perché ne abbiamo fatte di tutti i colori!”
Infatti, il gruppo italiano ai Games ha dimostrato un grande spirito di squadra. Com’è stato vivere quell’esperienza con gli altri atleti italiani?
“Ti ho già risposto un po’ a questa domanda prima, ma pensa che continuiamo ancora oggi a sentirci tutti quanti, e non vediamo l’ora di rivederci. Ci scambiamo messaggi per capire quando potremo incontrarci, anche solo per stare insieme. Si è creato un legame davvero fortissimo.
Il podio di Giada e Giuseppe è stato un motivo di orgoglio per tutti noi. Quella bandiera che avevano in mano l’abbiamo sentita come se la stessimo tenendo tutti insieme. È come se avessimo vinto tutti grazie a loro. È stato un momento bellissimo, ma altrettanto speciale è stato il modo in cui ci siamo sostenuti a vicenda, soprattutto quando qualcuno di noi ha avuto una delusione in un workout o non ha raggiunto l’obiettivo prefissato. La forza del gruppo ha trasformato le lacrime di tristezza in lacrime di gioia, facendo vedere il lato positivo dello sforzo compiuto.
Questo è sicuramente il messaggio più grande che possiamo portare a casa: la forza del gruppo rende uno sport duro e difficile come il nostro più sopportabile e positivo, se si è capaci di guardare le cose dalla prospettiva giusta. Non bisogna concentrarsi solo su quello che non si è riusciti a fare, ma sul tanto che si è ottenuto.
Anche se questo potrebbe non riflettersi sempre sulla classifica, quando arrivi a questo livello ogni piccolo errore si paga caro, e la tendenza è di guardare solo ciò che non è stato raggiunto. Invece, come gruppo, abbiamo imparato a focalizzarci sui grandi risultati ottenuti, facendoci forza gli uni con gli altri.”
Cosa diresti agli atleti Adaptive che sognano di partecipare ai Games? Quali consigli daresti loro per affrontare le sfide e raggiungere questo obiettivo?
“Questa è una bellissima domanda, perché come gruppo italiano abbiamo un grande desiderio di far crescere la nostra community e coinvolgere sempre più persone nelle competizioni internazionali di questo livello. Vogliamo far capire a tutti che questo sport è assolutamente accessibile, certo richiede impegno, dedizione e costanza, ma non è un limite avere una difficoltà motoria o una problematica di salute che coinvolge più parti del corpo.
Esiste un adattamento specifico, che non è una semplice “scalata”, ma un vero e proprio adattamento. Bisogna lavorare sodo, crederci, e avere la determinazione in ogni fibra del proprio corpo. I risultati arrivano, e quando li raggiungi, ti viene ancora più voglia di continuare a lavorare. Più lavori, più migliori.
Questo crea un circolo virtuoso di positività e felicità che fa bene sia al corpo che alla mente. Ti apre traguardi mentali che puoi applicare a tutti gli ambiti della vita, non solo a quello sportivo. Impari a non arrenderti, a resistere anche quando sembra impossibile, e questa è un po’ la filosofia del CrossFit, che tutti conosciamo ma che a volte dimentichiamo.
Agli atleti adaptive che desiderano cimentarsi in questa impresa dico: ce la potete fare, ce la possiamo fare! Credeteci, chiedete la classificazione della vostra disabilità alla WheelWOD, e una volta assegnata la categoria in cui potete partecipare, esistono programmi dedicati. In Italia ci sono ormai diverse programmazioni mirate.
Per noi che siamo stati ai Games, è più facile spiegare cosa serve fare, perché l’abbiamo vissuto in prima persona, e siamo totalmente a disposizione per raccontarci e condividere la nostra esperienza.”
A questo proposito, come gruppo adaptive abbiamo il desiderio di partecipare il più possibile alle gare nazionali per farci conoscere e aprire gli orizzonti a chi vorrebbe provare questo sport ma non ha ancora trovato il coraggio di iniziare. Cercheremo di far crescere questa community il più possibile, e ti terremo aggiornata sulle iniziative che abbiamo intenzione di lanciare a breve.”