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Andrea di Salvatore ai Games 2024: “Ho colmato il gap con molti atleti americani e, quest’anno, ho raggiunto gli obiettivi che mi ero fissato”

In un viaggio emozionante che va oltre la semplice competizione, Andrea di Salvatore ci racconta la sua straordinaria avventura ai Games 2024, affrontando non solo le sfide fisiche ma anche quelle personali legate alla nascita della sua bellissima bambina, Stella.

A 46 anni, Andrea ha saputo trasformare la sua routine e le sue priorità, arrivando a gareggiare con un’energia rinnovata e una motivazione che risiede nel legame con la sua famiglia.

La sua determinazione e il suo approccio strategico all’allenamento ci offrono uno spaccato di come si possa affrontare un percorso di alto livello nello sport, nonostante le complessità della vita quotidiana.

Scopriamo insieme le sue esperienze, le sfide affrontate e i momenti indimenticabili che hanno segnato questa stagione.

Indice

Intervista esclusiva a Andrea di Salvatore

La tua avventura ai Games è iniziata diversamente: hai avuto una bimba durante la tua preparazione e non sapevi se saresti riuscito a partecipare. Ci racconti come è andata la tua stagione?

Andrea: Certo! Il 10 aprile è nata Stella, e avere una bambina a 46 anni ha completamente stravolto la mia routine. Sapevamo che il parto era imminente e avevamo pianificato la stagione puntando tutto sui quarti per arrivare in forma sia ai quarti che alle semifinali, che purtroppo coincidevano con la nascita della mia bimba. Puoi immaginare la stanchezza e la mancanza di sonno, considerando che i quarti e le semifinali si sono svolti proprio alla fine di marzo e in aprile.

Nonostante tutto, sono arrivato pronto, carico e con tanta energia in più, grazie alla motivazione che mi dava la mia bambina. Certo, se avessi potuto riposare un po’ di più, sarebbe stato ideale!

Dopo le semifinali, una volta accertata la qualificazione, ho deciso di partecipare a una gara in Ungheria, l’European Master Throwdown, per testare le mie capacità dal vivo. Ho vinto, competendo contro atleti europei di livello, e mi sono reso conto che stavo seguendo la giusta strada. Insomma, la mia stagione di allenamenti è andata molto bene!

E come ti sei preparato fisicamente e mentalmente per affrontare questi Games?

Andrea: Per la preparazione fisica, ho lavorato per ridurre il gap con i miei avversari coetanei. L’anno scorso avevo loro come punti di riferimento, ma quest’anno, con i nuovi arrivati nella categoria 45+, non avevo dati certi per confrontarmi. Conoscevo i miei avversari dell’anno scorso, come Grubb, e ho focalizzato i miei sforzi per migliorare soprattutto nei carichi sul bilanciere, negli squat e nei lavori di endurance, come la bike.

Il mio obiettivo era migliorare questi aspetti senza trascurare i miei punti di forza, che ho semplicemente affinato. È importante notare che io faccio una sola sessione di allenamento al giorno, mentre molti americani che conosco fanno due sessioni di due ore.

Infatti, loro mi dicono sempre: “Andrea tu come fai ogni anno ad essere qui tra noi con una sessione di un’ora e mezza/ due ore al giorno quando noi facciamo due sessioni di due ore? E’ una follia!”.

Mentalmente, mi sono preparato con la convinzione di voler tornare ai Games. Non puntavo ai primi dieci, ma volevo semplicemente arrivare in fondo senza rimpianti. L’anno scorso, in diversi workout, non avevo espresso completamente il mio potenziale. Quest’anno, il mio obiettivo era tornare senza rimorsi, evitando di rimuginare su prestazioni insoddisfacenti per tutto l’anno.

Puoi descrivere l’atmosfera e le sensazioni di gareggiare su un palcoscenico internazionale come quello del Birmingham Jefferson Convention Center?

Andrea: Per me, che ho già gareggiato a Madison insieme agli Elite, quest’anno le emozioni sono state diverse. Non ho provato i grossi brividi, come quelli che avevo sperimentato in passato, perché avevo già accumulato un’esperienza significativa, anche rispetto allo scorso anno.

Ho sentito feedback simili da chi ha seguito la gara dall’Italia o dall’estero; molti mi hanno detto che era una bella competizione e che i Master erano tra i più forti del mondo, ma non dava l’idea di essere un vero Games.

Quest’anno, il Master Games è stato organizzato da Legends, una gara americana che si svolge da anni a dicembre. Pur gareggiando con atleti americani, australiani, canadesi e brasiliani, l’atmosfera non era paragonabile a quella dei veri Games dello scorso anno.

Tuttavia, sono stato felice di ritrovare vecchi compagni di gara e di fare nuove conoscenze. L’atmosfera nel circuito Master è molto positiva e c’è un grande rispetto per il lavoro che tutti noi facciamo.

Inoltre, grazie al mio gruppo di lavoro, composto da Federico Ticenghi, Federica Mandrici e Antonio Bruno, ho vissuto quest’esperienza al meglio. Un team del genere è davvero straordinario e rende tutto ancora più speciale.

Quali sono state le maggiori sfide che hai incontrato durante la competizione e come le hai superate?

Andrea: La sfida più grande è stata gestire tre workout al giorno per tre giorni, con la finale il quarto giorno. Doversi preparare per tre workout in un arco di cinque ore è stata una prova molto dura. Non sapevamo che la timeline fosse così ristretta, e credo che questo sia un difetto dell’organizzazione della competizione.

Non puoi chiedere ai Master di affrontare workout con alti volumi e carichi a un’ora di distanza l’uno dall’altro, a volte anche con soli 4-5 minuti di recupero. È fondamentale prevedere un tempo di recupero adeguato per i Master; altrimenti, la qualità dello spettacolo ne risente. Questo è il motivo per cui abbiamo visto prestazioni altalenanti.

Anche se si riesce a entrare nella top five o a completare un workout pesante, è difficile mantenere alte performance 45 minuti dopo. A meno che non si ricevano aiuti esterni o non si sia specificamente preparati per questo tipo di situazione. Gli atleti Elite possono gestire due o tre sessioni di allenamento al giorno, ma per noi “vecchietti” è più complicato.

C’è un evento o un momento particolare dei Games che ti ha lasciato un ricordo indelebile?

Andrea: L’anno scorso ho vissuto un momento particolare ai Games che mi è rimasto impresso, mentre quest’anno non ho ricordi altrettanto forti. Posso dirti che l’ingresso prima della finale è stato davvero significativo. Quest’anno eravamo 40 atleti, con un taglio per la finale a 20.

Il mio obiettivo minimo era rientrare tra i primi venti, e considerando i miei allenamenti rispetto agli altri, ritenevo che fosse un ottimo risultato.

Negli ultimi cinque mesi, ho dedicato molto tempo a mia figlia e, considerando che quest’anno erano entrati anche altri atleti più giovani, riuscire a qualificarmi è stata una grande soddisfazione. Ho conquistato il posto in finale un workout prima, quindi non ho dovuto aspettare. Già all’ottavo workout, sapevo di essere matematicamente dentro alla finale.

Il momento in cui ci siamo scaldati insieme ai primi venti è stato davvero gratificante. L’atmosfera che si respirava prima di entrare in campo era carica di soddisfazione e rispetto reciproco. Sapevamo che eravamo i migliori del mondo e che, oltre a noi, non c’era nulla di meglio. È stato un momento molto piacevole e significativo.

Ci lamentiamo spesso delle nostre gare, ma secondo te, anche lì c’era qualcosa che non andava?

Andrea: Ci sono state sicuramente delle cose che non andavano. Ho già accennato la timeline ristretta; i tempi per i workout erano davvero limitati. Inoltre, i campi gara erano carini, ma mancava una vera arena principale dove si potesse svolgere l’evento in modo adeguato.

Un altro aspetto deludente è stata la mancanza di organizzazione, persino per qualcosa di semplice come avere una bottiglia d’acqua. Sebbene ci fossero dei distributori, rispetto allo scorso anno c’era decisamente meno attenzione ai dettagli, e questo ha penalizzato l’evento.

Parlando del livello dei giudici, l’anno scorso ci sono stati degli errori, ma erano perdonabili. Quest’anno, invece, ho notato differenze di giudizio molto evidenti, non solo tra un atleta e l’altro, ma anche all’interno dello stesso workout.

Quando non c’è chiarezza nel giudizio, si manda in confusione l’atleta. Insomma, il giudizio dei giudici è stato molto discutibile e avrebbe bisogno di miglioramenti.

In che modo questa esperienza ai Games ha influenzato i tuoi obiettivi futuri sia dentro che fuori dal CrossFit®?

Andrea: Dopo questa esperienza, ho preso una settimana di riposo e già sono ripreso ad allenarmi. Ci sono molte cose che voglio fare e ho deciso di rispettare tutti coloro che mi inviteranno a competere, come ho fatto l’anno scorso. Darò priorità a queste opportunità, nel senso che se c’è la possibilità di avere un atleta dei Games nelle gare, sono pronto a partecipare.

Attualmente, ho già in programma diverse competizioni: andrò a Cipro, parteciperò alla 059 Classic a Modena, parteciperò alle Folle Series e parteciperò anche al Modena Winter Challenge. Ovunque mi invitino, farò del mio meglio per essere presente. Voglio impegnarmi affinché il titolo di atleta dei Games non sia solo un’etichetta, ma una presenza competitiva e un esempio per gli altri.

Per quanto riguarda i progetti futuri, è ancora troppo presto per pensarci. Considerare di fare un’altra stagione da Games a 47 anni, con una bambina che avrà un anno, è impegnativo. Tuttavia, non escludo nulla e tengo le porte aperte per il futuro.

Hai qualche aneddoto o esperienza dietro le quinte che vorresti condividere, qualcosa che il pubblico normalmente non vede?

Andrea: Ci sono tanti aneddoti interessanti, ma uno che mi ha colpito particolarmente è avvenuto prima dell’ottavo workout. Castro si è presentato nel campo gara. Dopo quanto accaduto due settimane prima, con la tragica morte di Lazar durante la gara degli Elite, è venuto a salutarci.

Mentre ci preparavamo per la nostra heat dei 45, è passato per stringerci la mano e abbracciare alcuni di noi. A un certo punto, ci ha riuniti in cerchio e ha condiviso la sua esperienza, raccontandoci come stesse vivendo la situazione. Ovviamente non entrerò nei dettagli per rispetto della sua privacy, soprattutto considerando che ci sono indagini in corso.

Quello che mi ha colpito è stata la sua umanità. Sembrava quasi che avesse bisogno di sfogarsi dopo tutto ciò che aveva vissuto. È facile giudicare, ma non sono io il giudice. Non conosco la legislazione del Texas, e ci sono sempre sfumature nelle situazioni. Ma il gesto di Castro di venire ad abbracciare ognuno di noi e condividere il suo pensiero è stato particolarmente toccante e ha reso quel momento speciale.

Come ti sei sentito nel rappresentare l’Italia in una competizione di così alto livello?

Andrea: Lo scorso anno c’è stata una manifestazione d’apertura con il giro delle bandiere, ma quest’anno non è stata organizzata. Tuttavia, il Tricolore lo porto sempre con me, e tutti sanno che sono italiano. Questo suscita rispetto per chi sono e per il mio modo di essere, non solo per la mia nazionalità.

Mi piace rappresentare l’Italia nel mondo, cercando di portare la mia positività, la mia esperienza in gara e un atteggiamento sempre corretto e positivo. Purtroppo, la mancanza di una cerimonia d’apertura quest’anno mi ha fatto capire che c’era un po’ meno attenzione verso i Master; sembrava volessero sbrigarsi più velocemente.

Ciò mi dispiace, perché se penso allo scorso anno, ciò che mi ha colpito di più è stata la cerimonia d’apertura, quando io, Elisa, Antonio Silvestri e Gerardo Schiatti abbiamo portato la bandiera durante il giro d’onore. Quest’anno, quella sensazione è un po’ mancata. Tuttavia, rappresentare la mia nazione è qualcosa che faccio da tanti anni nei Master, e continuerò a farlo con orgoglio.

Quali consigli daresti ad altri atleti Master che aspirano a calpestare un floor così importante?

Andrea: Dare consigli agli altri atleti Master è un argomento delicato, soprattutto perché ognuno ha le proprie preparazioni, allenatori e staff. Posso solo dire che se ce l’ho fatta io, possono farcela anche gli altri. Ci vuole tanto impegno, costanza e, soprattutto, disciplina. Si parla spesso di cosa sia più importante tra talento e disciplina, e si dice che la disciplina batte il talento 10 a 0. Personalmente, non sono completamente d’accordo; entrambe le cose sono importanti.

Con disciplina e costanza, sicuramente puoi diventare un buon atleta, ma hai bisogno anche di un po’ di genetica in più rispetto ad altri. Altrimenti, tanti ci riuscirebbero e invece solo una decina di atleti si qualificano. Sognare è fondamentale, ma la realtà è dura: le semifinali e i workout che affrontiamo non sono per tutti. Bisogna prepararsi in modo adeguato, credere nel proprio sogno e non basta un anno di preparazione; servono due, tre o anche quattro anni per sostenere i ritmi di gara.

Il messaggio è di crederci sempre. Ogni giorno, quando vai al box ad allenarti, la motivazione deve essere: “Ok, per arrivare lì devo fare qualcosa in più“.

Detto ciò, vorrei condividere un pensiero. Molti mi dicono che non sono soddisfatto dei miei risultati. Ma perché non dovrei esserlo? Sono arrivato 17° nel mondo con una finale a 40 atleti. Se fosse stata Elisa a ottenere questo risultato, sarebbe considerato straordinario, mentre ci si aspetta che io arrivi sul podio.

Ho colmato il gap con molti atleti americani, e quest’anno ho raggiunto gli obiettivi che mi ero fissato, come fare il 95% del mio snatch in gara e ottenere due top five in eventi di corsa e deadlift pesante. È stata una grande soddisfazione stare nella top ten con la bike e in altri workout.

Non puoi eccellere in tutto, e quando ho ottenuto prestazioni da ventesimo, venticinquesimo o trentesimo posto, le ho accettate perché sapevo che gli altri erano andati più forte. L’unico rammarico è stato nel primo workout, dove sono partito trentottesimo a causa di ripetizioni ingiustificate. Iniziare una gara da quella posizione e riuscire a entrare tra i primi 20 prima del secondo workout è stata una prestazione onorevole. Posso quindi dire di essere soddisfatto!

Ringraziamo sinceramente Andrea di Salvatore per aver condiviso con noi le sue esperienze e la sua passione per il CrossFit®.

La sua storia è un’ispirazione non solo per gli atleti, ma per chiunque desideri affrontare le sfide della vita con coraggio e determinazione.

Auguriamo ad Andrea tutto il meglio per il suo futuro, sia come atleta che come padre, e ci auguriamo di vederlo brillare ancora nei prossimi eventi!

 

 

 

 

 

 

 

 

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